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Channel: Costanza Miriano » Libero
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Ma il titolo no!

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Ieri Libero ha pubblicato la mia lettera sulla vera sottomissione titolando “Se siete donne l’8 marzo state a casa”. Concetto che io non ho mai espresso neanche di striscio nel pezzo.

Ora, vorrei mettermi a tuonare contro la malizia, ma conosco le regole del giornalismo, che deve estremizzare e creare polemiche anche dove non ce ne sono. Inoltre ho questo grave disturbo dell’organo che presiede all’indignazione: non riesco mai a provarla per più di quattro minuti, probabimente perché da qualche parte dentro di me, forse lì vicino all’organo dell’indignazione, ce n’è un altro che mi ricorda, molesto, che la prima a essere indegna sono io.

Comunque, approfitto di questo spazio per un chiarimento del chiarimento.

Non sarò certo io a dare le patenti alle altre: chi è donna e chi no. Ci mancherebbe. Proprio io che ho un figlio che dice: “mamma, secondo me tu se ti tagli i capelli sei un maschio, guarda che bei muscoli”, indicando le gambe da terzino della nazionale tedesca di cui anni e anni di atletica leggera mi hanno dotato ormai per sempre. (Per la cronaca, questo era un complimento).

Io non sento l’esigenza di rivendicazioni di genere, ma non giudico chi invece ne ha. Ognuno ha la sua storia.

Fra l’altro conosco diverse “vecchie” femministe che hanno lottato credendoci davvero. A me personalmente fanno tenerezza. Sono state le prime a essere “fregate” dai presunti diritti per i quali hanno combattuto, l’aborto, il divorzio, la parità. Sono infelici e deluse, ma sempre donne, intelligenti, ricche, buone e umane.

Sono convinta che la sintesi cristiana dell’uomo sia in realtà il suo libretto di istruzioni: se uno non segue le istruzioni si rompe. Si inceppa, non funziona.

E lasciatelo dire a me, che posso rompere un frullatore con un dito, un lettore dvd con il solo potere dello sguardo, e posso impedire a un computer di funzionare solo con il mio ingresso in una stanza. Odio qualsiasi tipo di tecnologia, e lei odia me. E’ per questo che la notte prima della consegna della tesi di laurea quella specie di carretto dei gelati che era il mio computer del tempo (quasi venti anni fa) si rifiutò sdegnato di cosegnarmi il lavoro fatto, costringendo mia sorella e mia madre a battere freneticamente centinaia di pagine per tutta la notte, accanto a me che, riversa sul letto e semicosciente, meditavo fantasiosi progetti di suicidio. Preciso che il migliore che mi sia venuto in mente, a tutt’oggi, è mangiare così tanto pane e salame da indurmi una malattia mortale. Non so quanto tempo ci vorrebbe, ma sarebbe bellissimo.



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